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Cessione del quinto, un vincolo senza ritorno?

da Feb 17, 2017Crisi da sovraindebitamento

Un procedimento giudiziario cui si ricorre sempre più spesso negli ultimi tempi è il piano del consumatore. Come molti sapranno, si tratta di una procedura concorsuale diretta ad affrontare il problema dell’indebitamento eccessivo del consumatore, da intendersi come persona fisica che si sia indebitata per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata (si veda art. 6 Legge 3/2012).

In sostanza, il procedimento prevede che il consumatore incolpevolmente “schiacciato dai debiti” paghi ai debitori quanto ragionevolmente possibile senza compromettere le esigenze fondamentali proprie e della famiglia e, per il resto, sia liberato dai debiti in eccesso.

Nella pratica, almeno quando il consumatore è un lavoratore dipendente o un pensionato, capita molto spesso che, tra i debiti contratti, ve ne sia almeno uno da rimborsare tramite la formula della cessione del quinto o delegazione di pagamento, che ha il suo principale riferimento normativo nel DPR 180/1950.

Quando il consumatore chiede di accedere al piano, un problema ricorrente è quello di capire se il debito contratto tramite cessione del quinto debba essere soddisfatto integralmente, oppure se possa essere soddisfatto anche solo in parte (secondo il meccanismo noto come «falcidia dei debiti»).

In mancanza di un’esplicita previsione, in un senso o nell’altro, da parte della legge 3/12, la questione sta facendo arrovellare gli interpreti, considerata anche la sua notevole frequenza e rilevanza pratica.

La tesi contraria alla falcidia si basa, perlopiù, sull’applicazione analogica dell’art. 169 bis del Regio Decreto 267/1942, nato per regolare il fallimento. Tale articolo prevede sì la possibilità per il Tribunale di sciogliere il fallimento dei contratti in corso, ma obbliga il fallimento stesso a risarcire alle controparti i danni derivanti da tale scioglimento.

Altri hanno sostenuto che, nel contratto di cessione del credito, la banca o la finanziaria subentrino nella stessa posizione di privilegio che è propria del lavoratore. Tale argomentazione trascura, però, che il privilegio in questione sussiste nei confronti del datore di lavoro ma non nei confronti del lavoratore stesso.

Inoltre, a quanto pare, un recente provvedimento del Tribunale di Catania avrebbe sostenuto la non falcidiabilità dei debiti da cessione del quinto sulla base del fatto che art. 12 bis della Legge 3/12 equipari il decreto giudiziale che adotta il piano del consumatore al pignoramento, cioè a un atto non idoneo a incidere sulla cessione volontaria del quinto.

Numerosi sono anche gli argomenti favorevoli alla falcidia, già accolti da parecchi Tribunali, tra i quali Pistoia (27.12.13), Siracusa (17.06.16), ma anche Catania (16.06.16), che evidentemente registra oscillazioni in materia.

Da parte nostra, senza la pretesa di dare risposte complete riguardo a ogni singolo argomento invocato a sostegno delle singole soluzioni, riteniamo però di poter formulare una semplice riflessione, peraltro in linea con uno degli argomenti utilizzati dal provvedimento 08.06.16 del Tribunale di Torino. La legge 3/12 ha il dichiarato scopo di «porre rimedio alle situazioni di sovraindebitamento», situazioni che a causa della crisi economica sono diventate estremamente diffuse, dando a chi si è indebitato incolpevolmente una seconda occasione e, allo stesso tempo, rimuovendo un ostacolo alla sua partecipazione effettiva alla vita economica e sociale (art. 3 comma 2 della Costituzione). Non a caso si è parlato, sulla stampa, di legge anti-suicidi.

Se questo è lo scopo della normativa in questione, ci sembra che, nel dubbio, si debba preferire l’interpretazione che aiuta maggiormente il debitore a uscire dalla crisi, gettando il cuore oltre l’ostacolo di questioni tecniche non sempre facili da dipanare.

                                                                                       Avv. Giuseppe Auletta

https://www.gastudiolegale.it/debiti-un-problema-superare-insieme/