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A volte anche le storie iniziate peggio possono finire bene, consentendo di scrivere delle belle pagine di diritto e di giustizia. È questo il caso di alcuni lavoratori forestali siciliani, che dopo anni di normale attività nelle loro mansioni, con una decisione incomprensibile, erano stati allontanati dal loro contesto lavorativo e destinati a mansioni notevolmente inferiori, quando non alla totale inoperosità.

 I lavoratori, però, non si sono dati per vinti e, con l’aiuto dello Studio Auletta, hanno agito legalmente per la restituzione delle loro mansioni e per il risarcimento del danno. Diritti questi, entrambi riconosciuti dal Tribunale del lavoro in primo grado, con condanna dell’Amministrazione anche al pagamento di tutte le spese legali.

Di questa prima sentenza va ricordato che essa ha ribadito alcuni princìpi fondamentali, come quello per cui il lavoratore non può essere “retrocesso” a mansioni inferiori neppure a parità di stipendio, perché la legge e la Costituzione tutelano, non solo il diritto alla retribuzione, ma anche quello a esercitare effettivamente la professionalità acquisita, con ciò incrementando le possibilità del lavoratore di trovare nuovi impieghi, ma anche e soprattutto salvaguardando la sua personalità, che nel lavoro trova un importante campo di espressione.

Ma la storia non finisce qui. L’Amministrazione forestale, infatti, ha proposto appello presso la Corte d’Appello di Caltanissetta, ritenendo, in particolare, che ai lavoratori non spettasse il risarcimento per mancata percezione di una indennità prevista dalla contrattazione collettiva. La tesi avversaria era, infatti, che le indennità legate a particolari condizioni di disagio lavorativo vadano riconosciute solo al lavoratore che si trovi effettivamente nella condizione di disagio. Ma la Corte nissena, ancora una volta, ha dato torto all’Amministrazione, accogliendo integralmente la tesi dell’Avv. Giuseppe Auletta, secondo la quale un’indennità di disagio può essere eliminata dalla retribuzione se la sottrazione al disagio deriva da una scelta lecita del datore di lavoro; se, invece, le condizioni di disagio o di pericolo in cui è prestata l’attività del lavoratore cessano a seguito di un demansionamento illegittimo, l’indennità va comunque corrisposta. Infatti, omettendo altre ragioni più tecniche, non c’è dubbio che sarebbe ingiusto consentire al datore di lavoro (come a chiunque altro) di ottenere dei risparmi economici da un proprio comportamento contrario alla legge.

Una pagina di giustizia, dunque, è stata scritta, nella speranza che gli enti pubblici, oltre a dettare leggi e norme, pongano un po’ più di attenzione anche a rispettarle.

(Foto: Franz W. da Pixabay)